Spesa militare e industria delle armi

Della montagna di balle per bambini

Partiamo da questo editoriale: Spesa militare e industria delle armi in Europa e in Italia.

Quando leggo queste cose che calano dall’alto dell’iperuranio degli “intellettuali”, non posso credere al miscuglio di menzogne, di ragionamenti fallati e di conclusioni infantili. Andiamo ad esaminare.

la valutazione periodica del rischio di catastrofe planetaria iniziata nel 1947 dagli scienziati del Bulletin of the Atomic Scientists, non ha mai indicato un livello di rischio alto come ora.

Palesemente falso. Ci sono stati non so quanti episodi che ci hanno portato vicini ad una guerra mondiale, non ho voglia di documentarmi e fare la lista, ne cito due, la famosa “Crisi di Cuba” in cui gli USA imposero un blocco navale attorno l’isola di Cuba per impedire che le navi sovietiche potessero scaricare i componenti dei sistemi missilistici che da li avrebbero minacciato di colpire il territorio americano con una traiettoria bassa e quindi con poco preavviso. L’installazione dei missili sovietici a Cuba rispecchiava l’installazione di missili simili in Turchia e in Italia. Lo “Incidente dell’equinozio d’autunno” durante il quale il sistema di rilevamento satellitare sovietico segnalò ripetutamente il lancio di missili intercontinentali dagli USA e fortunatamente l’ufficiale in servizio in quel momento non si fidava degli apparati sovietici e non seguì la procedura.

Oggi i politici parlano in termini di «vincere e abbattere il nemico, non importa se costa spargere sangue». Queste sono le parole che vengono pronunciate sempre più spesso a Washington come a Tel Aviv, a Mosca come a Berlino.

Altra affermazione palesemente falsa. L’unico caso in cui i “politici” si sono espressi in questi termini è Israele ed è successo in conseguenza del massacro compiuto dai tagliagole di Hamas, i quali sono rientrati a Gaza portandosi dietro un centinaio di ostaggi. Si tratta di una situazione obbligata, senza via d’uscita. Discorsi dello stesso tenore poi si possono facilmente ascoltare/vedere sulla TV di Stato “russa” e io trovo curioso che nessuno tra gli “intellettuali”, quindi necessariamente nessuno tra i loro seguaci, si prenda la briga di guardare. Eccoci alla bambinata:

La vita e la morte delle persone, la guerra e la pace, dipendono dagli interessi economici di questo o di quello.

Ma va? Chissà quante lauree ci vogliono per fare questa osservazione. Io ho sempre pensato che i Danesi prendessero una barca a remi, attraversassero il Mare del Nord, scendessero davanti ad un villaggio scozzese o irlandese, andassero ad ammazzare tutti gli uomini e a portare via donne, maiali e raccolto, non per “interesse economico” ma per passatempo. Veniamo al pezzo forte:

Quello di cui il pianeta ha bisogno oggi sono teste fredde, capaci di pensare globalmente, di pensare all’interesse comune, ai pericoli comuni, di calmare il gioco che si sta facendo sempre più pericoloso per tutti. Servono leaders ragionevoli capaci di cercare soluzioni pacifiche agli inevitabili conflitti. La maggior responsabilità è sulle spalle dell’Occidente, perché è l’Occidente che detiene ancora, per ora, il potere dominante, e perché è l’Occidente che deve decidere se accettare serenamente la rinegoziazione dell’equilibrio del potere globale resa inevitabile dalla diffusione della prosperità nel mondo, o rimanere arroccato a qualunque costo alla sua attuale posizione di dominio. Deve decidere se accettare un pianeta più democratico a livello globale, oppure continuare a sentirsi in diritto di arrogarsi una leadership mondiale che trova sempre meno consenso.

Non so veramente immaginare da dove possa venire una “testa fredda” capace di pensare allo “interesse comune”. Vado a spiegare al “professore” la natura del problema. In “democrazia” la gente vota e lo fa in funzione del proprio interesse. Se poi è una “democrazia rappresentativa” la gente vota ed elegge un rappresentante, il quale ricambia tutelando l’interesse di chi lo vota oppure del “gruppo di interesse” (v. lobby) che ne ha facilitato o determinato l’elezione. Anche volendo sostenere il concetto risibile della “assenza del vincolo di mandato”, per cui l’eletto non è obbligato a dare seguito al mandato ricevuto dai suoi elettori ma può anzi dovrebbe decidere nell’interesse generale, ovviamente si tratta sempre di un rappresentante che appartiene ad una certa comunità che si esprime col voto, non rappresenta certo l’intera Umanità o il Creato. Quello che succede invece è che le comunità sono in competizione tra loro e di conseguenza i rappresentati di una comunità dovranno decidere per favorirla contro l’interesse di tutte le altre. Da cui poi si procede a trattati ed alleanze tra comunità che servono per avvantaggiarsi mettendosi insieme contro le altre comunità. Eccetera. Risaliamo a Caino ed Abele, per capire la natura del problema e l’assurdità del “quello di cui il pianeta a bisogno”. Tra l’altro il pianeta come fenomeno geologico o astrofisico o anche come ecosistema, se ne frega.

In Italiano non si usa il plurale inglese “s” quindi si dice “i leader” e non “i leaders”. Sempre alla voce “intellettuale”. Poi “capaci di cercare soluzioni pacifiche agli inevitabili conflitti”, giretto retorico palesemente illogico, il concetto di “conflitto” esclude a priori la “soluzione pacifica” perché siamo andati oltre, cosi come i sintomi della malattia escludono la salute. Quello che si può fare è rimediare, metterci una pezza, sanare il sanabile.

Segue “è l’Occidente che deve decidere se accettare serenamente la rinegoziazione dell’equilibrio del potere globale resa inevitabile dalla diffusione della prosperità nel mondo”. Questa cosa mi fa abbastanza ridere, direi, con un neologismo giovanilista, che è “cringe”. Per prima cosa, accettare serenamente è degli impotenti messi davanti al fatto compiuto. Non è una cosa che decidi, è una cosa a cui sei costretto. Poi ennesima contraddizione, la “diffusione della prosperità nel mondo” è stata determinata proprio dal cosiddetto “Occidente”, magari per ragioni egoistiche, magari inavvertitamente però non è un evento casuale, un accidente. Qui si afferma che bisogna “negoziare” con fenomeni che non solo ostacolano la “diffusione della prosperità” ma la negano in quanto manifestazione satanica proprio dello “Occidente”. Negoziare con gente che non è soddisfatta nel constatare che i giovani sono dediti a mollezze e vizi “occidentali” ma che li vuole tutte fattrici a partorire figli e nei campi a zappare o in armi a combattere malefici nemici esterni e infidi traditori.

Chiosa assurda finale: “deve decidere se accettare un pianeta più democratico”. A parte che come detto il “pianeta” è indifferente all’esistenza mia personale e dell’Umanità tutta, il fatto è che la “democrazia” è un concetto che esiste solo in “Occidente”. Il “pianeta” non è affatto “democratico”. Come sopra, il “negoziare” avrebbe come interlocutori degli autocrati e/o delle teocrazie, magari dissimulate nel culto di una ideologia invece che di una divinità. Non capisco cosa ci sia di “democratico” nel calare le braghe davanti alle minacce o ai ricatti di un Putin, di un Kim Il Sung o di un Kamenei. Non capisco nemmeno cosa ci guadagnerebbe l’Umanità nel suo complesso dalla “resa” dell’Occidente al suo supposto declino auto-inflitto e dalla “vittoria” di autocrati e religiosi.

Concetto interessante in questo delirio: “sempre meno consenso”. Consenso di chi? Il consenso di chi vuole tutte le donne intabarrate a partorire e gli uomini nei campi ed in armi oppure il consenso degli “intellettuali” italiani e “occidentali”, col loro seguito di minus habens?

Finisco con un piccolo tecnicismo: L’Italia “È complice di violazioni della legalità internazionale in molte guerre recenti, non autorizzate dalle Nazioni Unite, a cui ha partecipato.” Per chi non lo sapesse, le Nazioni Unite sono sottoposte al Consiglio di Sicurezza in cui la Federazione Russa e la Cina hanno un seggio e il diritto di veto. Quindi le “guerre recenti” non saranno mai “autorizzate” dall’ONU se non sono santificate da Putin o dal Partito Comunista Cinese. L’Italia non è obbligata a partecipare alle “guerre non autorizzate”, concetto risibile, però è vincolata da trattati e alleanze, quindi se si tirasse indietro quando ci si aspetta che assuma un certo ruolo, poi non potrebbe aspettarsi nulla in cambio. Potremmo seguire fino in fondo il concetto della “decrescita felice”, sdraiarci per terra e aspettare la morte. Nella logica di questo editoriale, il “pianeta” ne sarebbe contento.

Pianosa

Dell’Italia piena di professori, immobile, vana, incapace e cialtrona.

Leggo questo articolo: il carcere di Pianosa restaurato e visitabile.

Partiamo dalla prima cosa che mi viene in mente: chi diavolo esce di casa per andare su un’isola a vedere un carcere restaurato? Chi è solleticato dal brivido di entrare nelle celle dei vecchi brigatisti?

Veniamo alla seconda cosa che mi viene in mente. Data la demografia per cui tutti i famosi “diritti” che dovevano essere finanziati dai molti giovani a favore dei pochi anziani stanno collassando perché ci sono molti anziani e pochi giovani finanziatori, direi che se non fossimo decadenti invece di spendere soldi nel restaurare un inutile carcere su un’isola dovremmo darci altre priorità. Non si contano gli esempi, per dire, vicino casa mia c’è un parco che risulta da un insieme di discariche e scolmatori fognari, piantumato alla fine degli Anni Ottanta, adesso ci stanno scavando un sacco di laghetti e di fossi, credo per la “biodiversità”, se non che ogni laghetto costa attorno al mezzo milione di euro. A me vengono in mente tante altre cose che si dovrebbero pagare con quel mezzo milione, invece del laghetto con le paperelle.

La terza cosa che mi viene in mente è che negli USA tutto quello che è “nuovo” viene visto come intrinsecamente “migliore”. Che siano cose o persone. Non è un Paese per vecchi e per cose vecchie. Incidentalmente questo porta al famoso problema del continuo comprare cose nuove e buttare quelle vecchie senza nemmeno considerare l’idea della durata e della riparazione. In Italia abbiamo l’idea opposta e cioè che tutto quello che è “vecchio” sia intrinsecamente “migliore”. Siamo un Paese di vecchi e cose vecchie. Se gli Americani buttano via e quindi sprecano, noi rimaniamo attaccati a cose che dovremmo buttare e sprechiamo ugualmente perché nel portare avanti il vecchio spendiamo risorse che dovremmo investire per rinnovare.

Questa idea del “vecchio” come “migliore” ha tante ricadute. Dalle baronie, spesso ereditarie, tanto nel “pubblico” che nel “privato” alle idee assurde come il “bonus edilizio”. Il “bonus” non è assurdo solo perché lo Stato finanzia le “ristrutturazioni” dei privati ma perché l’idea di “ristrutturare” è folle di perse. I manufatti edilizi sono come qualsiasi altra cosa, nascono, vivono e muoiono. Arrivati alla fine della loro “vita utile” vanno demoliti e sostituiti. Invece noi abbiamo questa idea di “immobilizzare”, di “congelare” l’esistente, come se una palazzina degli Anni Settanta valesse come un tempio greco del V secolo. Quindi giù con l’idea del “restauro”, che poi nel caso della palazzina significa ricollocarla sul mercato con un valore assolutamente fittizio, finzione che però siamo costretti a mantenere perché quel valore è a bilancio delle famiglie e delle banche. Ci sono certe storture che lasciano interdetti, come i concerti dentro i teatri romani, a riprova che non si distingue una cosa da un’altra.

Torniamo a Pianosa. Pare sia un’isola di proprietà del Demanio. Ora, il Demanio ha un patrimonio. Delle due l’una. Ci sono le competenze e i talenti tra il personale del Demanio non solo per “conservare” nel senso museale ma anche per mettere a frutto questo capitale. Non ci sono queste competenze perché il “pubblico” è solo il modo più semplice per distribuire rendite e favori, quindi il patrimonio del Demanio diventa necessariamente un costo e deve essere alienato. Possibilmente non come le “privatizzazioni” di prodiana memoria che smantellarono le “Aziende di Stato” con la loro “funzione sociale” per arricchire amici e amici degli amici.

Quello che non ci possiamo permettere è continuare questa commedia della “cultura” che ci viene trasmessa dai “professori” nelle vesti di profeti in comunione con l’Altissimo e che ci vuole fare vivere come comparse in un presepio vivente. Bisogna decidere cosa vogliamo tenere perché ha un valore storico e tutto il resto va demolito e ricostruito, quando utile e necessario, oppure rimesso a cultura o anche a bosco. Quello che smette di crescere, muore. La “decrescita felice” è un concetto che nell’Universo non esiste, decresci mentre muori.

Ironicamente i “professori” convivono con i demagoghi che professano la volgarità, cioè in sostanza l’idea opposta alla “cultura”. Demagoghi che rappresentano legioni di bestie ignoranti che possono valutare il mondo solo attraverso la quantità, ecco poi perché, tornando agli USA, si vendono i macchinoni giganteschi che fanno quanto più rumore possibile, si vendono le uova in confezioni da 32, le bottiglie di cola da 25 litri, eccetera. Questi buttano giù le città per farci i grattacieli di acciaio e vetro. Come direbbe il Milanese Imbruttito, “figa e fatturato”. Quindi non si tratta solo di demolire ma anche di farsi venire in mente cosa costruire, come, dove e perché. L’Italia odierna è venuta su per caso, col famoso “boom economico” che voleva dare il benessere a tutti, non importava come. Poi c’era l’idea che il benessere sarebbe sempre aumentato quindi avremmo avuto tutto il tempo e il modo di rifare le cose meglio, con maggiore cura, attenzione, spendendo più soldi. Invece ci troviamo con le stesse capacità di allora in termini di risorse umane e con il problema che se li pensavamo alla “crescita”, ora pensiamo alla “decrescita”.

Per Pianosa, mi sembra come per le concessioni balneari, un altra vexata quaestio perché in teoria queste concessioni andrebbero rinnovate con apposite gare e invece sono altre baronie ereditarie. Comunque, io darei l’isola in concessione ai privati perché la utilizzino a fini turistici, ovviamente col vincolo che tutti i lavori debbano essere approvati. Anche se questo ci riporta al problema che se esistessero le competenze per valutare i lavori il Demanio non dovrebbe alienare i propri beni.

Ariston

Delle commedie globali

Allora, leggiamo sui giornali che la Federazione Russa ha “nazionalizzato” i beni della azienda Ariston che si trovano sul suo territorio.

Ben gli sta, ad Ariston, cosi impara a delocalizzare nel Terzo Mondo perché la manodopera costa meno e si ottiene qualsiasi permesso dalle “autorità” col sistema delle bustarelle. Tutto bello, tutto facile, fino a che il capoccia di turno si mette in testa di rovesciare il tavolo e si scopre che la “deregulation terzomondista” è un’arma a doppio taglio.

D’altra parte, torniamo alla litania dei “personaggi mediatici” come il signor Orsini e il signor Travaglio, circa i torti, le ragioni e soprattutto la vittoria e la sconfitta. Quale guerra voleva muovere lo “Occidente” alla “Russia” (che, lo ripeto, è una figura retorica) quando non preparava scorte di armi e munizioni, muoveva le proprie aziende in “Russia” e diventava cliente delle forniture “russe” di minerali e combustibili?

Come diceva Putin in persona, le “sanzioni” ovviamente danneggiano prima la economia “occidentale” di quella “russa” e sono concepibili solo per l’enorme sproporzione tra le due economie, quindi quella occidentale può incassare meglio le perdite.

A chiunque non sia scemo o pazzo appare ovvio che la “guerra” non l’ha voluta lo “Occidente”, che non ha niente da guadagnare. Viceversa, muove proprio dalla idea che lo “Occidente” sia debole e ricattabile per via del danno economico che gli si impone e per la poca propensione a tollerare fastidi di una popolazione complessivamente abituata al lusso e al privilegio, contro la popolazione “russa” avvezza all’idea che la vita sia solo dolore e sofferenza.

Allo stesso modo, è anche evidente che non ci sono fabbriche “russe” in Italia o in Europa, Putin può espropriare le aziende italiane o europee sapendo che il peggio che gli può capitare è che le stesse aziende rinuncino a vendere i propri prodotti in “Russia” o a comprare materie prime dalla “Russia”, vedi alla voce “sanzioni”. Insomma, cornuti e mazziati. Si, ci sono i conti bancari, azioni, eccetera, tanto degli “oligarchi” che dello Stato, collocati nel sistema finanziario “occidentale” ma Putin sa bene che magari glieli bloccheranno per un po’ ma difficilmente saranno espropriati, perché in “Occidente” non c’è una entità che se li può intestare e perché una mossa del genere farebbe pensare a tutti gli altri “autocrati” ed “oligarchi” sparsi per il mondo che i loro capitali all’estero potrebbero fare la stessa fine in ogni momento, con tutte le conseguenze.

Putin ha tante altri assi nella manica, per esempio potrebbe trattare separatamente con ogni Paese “occidentale”, promettendo ad uno di salvaguardare le sue aziende e i suoi interessi in “Russia” contro quelli di un altro Paese. Come dimostra il caso ungherese e certi scemi e pazzi italiani, non è inconcepibile che la Germania decida di trovare un accordo con Putin, meglio se sottobanco, contro le dichiarazioni di principio della UE nel suo insieme e magari contro gli interessi di, che ne so, Francia o Italia, meglio se in ambiti in cui sono concorrenti. Alla fine è sempre il vecchio “divide et impera”.

Ieri passavo sotto un megamanifesto elettorale di Salvini, poverino sta cadendo in vite, che sotto il suo faccione sorridente recitava “a difesa delle case e delle auto degli Italiani”. Più avanti ce n’era un altro uguale con scritto “più Italia e meno Europa”. Appunto, i due elementi su cui farà leva Putin, l’eventuale danno economico generale che si trasferirà nel danno economico per ognuno nelle piccole cose quotidiane e l’idea che si possa anzi si debba giocare sui diversi tavoli per salvaguardare lo “interesse nazionale” a dispetto di considerazioni “geopolitiche”. Una cosa che non viene considerata in questo ragionamento è che, ancora, è un’arma a doppio taglio. Andiamo per conto nostro per le faccende in cui ci conviene poi però ci troviamo per conto nostro in tutte le faccende, anche quelle dove non ci conviene.

Questa vicenda mi porta a considerare con sorpresa il fatto che continuo a sopra-stimare la gente, tutta. Nel nostro caso tanto gli Italiani che i “Russi”. Soprattutto i “Russi”. Per me è inconcepibile che davanti ad un futuro incerto e alla consapevolezza del fallimento, vogliano tornare indietro ad una “età dell’oro” indefinita che collocano tra l’Impero Zarista e l’Unione Sovietica. Alla fine è lo stesso meccanismo per cui nei “Paesi Islamici” si fantastica di ritorno ad antichi califfati e ortodossie religiose. Oltre all’ignoranza, una idea del genere necessariamente si basa su qualche distorsione della coscienza.

Sciocchezzuola aggiuntiva: tutti i chip del mondo vengono da aziende con sede a Taiwan e stabilimenti in Cina. Immaginiamoci le modalità e le conseguenze di una situazione simile a quella “russa” che però ci veda in conflitto con la Cina. Ariston non so cosa fabbrichi in “Russia”, diciamo lavatrici. Adesso immaginiamoci che all’improvviso manchino tutti i chip per tutta l’elettronica che adoperiamo, dal computer al telefono passando per la chiave elettronica che apre il baule del motorino e tutti gli impianti industriali e gli ospedali, treni, aerei, eccetera.

Ipersonica ignoranza

Della gente che non si informa

Di questi tempi va di moda l’espressione “missile ipersonico” e questa espressione viene usata dai “media” e dai demagoghi in associazione con il declino dello Occidente e questa sorta di rivolta degli schiavi che sarebbe la invasione dell’Ucraina e il contestuale problema mediorientale, oppure la espansione cinese in Asia contro l’egemonia USA.

In realtà “ipersonico” significa solo che viaggia a diverse volte la velocità del suono.

Tutti i veicoli spaziali sono “ipersonici”. Tutti i missili “balistici”, cioè che salgono verso l’alto e poi scendono verso terra descrivendo un arco, sono “ipersonici”. Quindi è storia antica.

Ci sono poi i missili “aria-aria”, cioè quelli portati dagli aerei e che cercano di incontrare un altro aereo. Anche questi non sono niente di nuovo, il missile Phoenix portato dagli F-14 “Tomcat” americani e che risale agli Anni Sessanta, era “ipersonico”. Premesso che contrariamente a quello che si vede nei film il razzo rimane acceso solo per la prima parte della traiettoria e poi si spegne e il missile procede per inerzia, un missile che viaggia molto veloce non può cambiare direzione senza perdere molta energia e senza percorrere grandi curve, inoltre più scende di quota più l’aria diventa densa e crea attrito, che fa perdere ulteriore energia al missile. Siccome l’aereo preso di mira viene avvertito dell’arrivo del missile dal fatto che riceve i segnali del radar che guida il missile stesso, questo aereo scenderà il più possibile verso il basso e compierà brusche manovre evasive proprio per esaurire le capacità di manovra del missile. I “missili ipersonici” in questo caso non sono stati inventati per il “combattimento aereo” ma per abbattere dalla maggiore distanza possibile aerei lenti e che non possono compiere manovre evasive, come i bombardieri. Comunque ancora storia antica.

Infine, esiste un’altra categoria di missili che invece di compiere una traiettoria “balistica” ad arco, che è facilmente prevedibile, viaggiano più o meno in orizzontale. La ragione è che i radar faticano a ricevere l’eco di ritorno da oggetti che si trovano dietro la curvatura terrestre, con tanti saluti ai terrapiattisti. Ecco perché esistono gli “arei radar” che portano il dispositivo più in alto possibile in modo da allargare l’area coperta dal segnale. Volando in basso si rimane nascosti al radar posizionato sul terreno fino a che non si arriva ad una certa distanza, che è di pochi chilometri e questo, combinato con la velocità del missile, riduce moltissimo la capacità di reazione di un dispositivo anti-missile. Però, come per i missili imbarcati sugli aerei, volando veloci non si può cambiare facilmente direzione e si incontra un notevole attrito dovuto alla densità dell’aria. Ecco perché i “missili da crociera” di solito sono molto lenti, sia per ottimizzare l’autonomia e consentire viaggi di centinaia di chilometri, sia per consentire al missile di cambiare direzione in maniera imprevedibile. Da cui l’unico uso possibile dei “missili ipersonici” in questo caso è se sono portati da un aereo che si incarica di sfuggire ai radar e delle manovre evasive, per essere lanciati vicino al bersaglio in modo da colpirlo con un approccio diretto, immediatamente, prima che possa reagire. Una cosa che è particolarmente difficile se il nemico ha la superiorità aerea e quindi facilmente abbatte gli aerei prima che possano avvicinarsi ai bersagli.

Quindi, riassumendo: da una parte non c’è niente di nuovo per la maggior parte dei casi, dall’altra i “missili ipersonici” non sono un’arma dei “Paesi emergenti” perché, a parte i costi esorbitanti che li rendono anti-economici per bombardare le case, presuppongono la superiorità aerea che non a caso è uno dei presupposti della dottrina USA e quindi “occidentale”.

Nel caso di Israele, grazie ai finanziamenti USA, da sempre ha la superiorità aerea su tutti i suoi vicini per cui non c’è nessuna possibilità che Israele venga bombardato dall’aviazione di qualche altro Paese, figurarsi l’Iran che non è nemmeno confinante, in mezzo ci sono prima l’Iraq e poi la Giordania e la Siria. Tutti i missili eventualmente lanciati da terra da un punto qualsiasi o sono lenti oppure sono “balistici” e quindi in entrambi i casi facilmente intercettabili. L’Iran non può impiegare nessun “missile ipersonico”, tranne i casi sopra elencati che sono storia antica. L’unica opzione per un “Paese emergente” è lanciare tanti missili economici in modo da “saturare” le difese avversarie e in ogni caso obbligarle a spendere munizioni che sono molto più costose. Chiaro che se tu lanci un drone che costa tremila euro e questo viene abbattuto da un missile che costa tre milioni di euro, hai comunque inflitto un danno.

Nel caso dell’Ucraina, nonostante la ridicolissima propaganda Anti-NATO e Pro-Russia che per me è inconcepibile, ultimamente ho sentito dei MAGA americani inneggiare a Putin come difensore della Cristianità, il fatto è che l’Ucraina non ha una aviazione degna di nota e questo toglie di mezzo il presupposto fondamentale della dottrina NATO, cioè quello della superiorità aerea, anzi, colloca l’Ucraina nei panni dell’ipotetico avversario della NATO. Rispetto ad Israele ci troviamo in una situazione invertita dal punto di vista tecnologico. Il guaio in quel caso è che la Russia confina con l’Ucraina e quindi, pur essendo i Russi degli straccioni, possono impiegare le armi degli straccioni, cioè mandare all’assalto migliaia di trogloditi sdentati senza curarsi delle perdite e cosi facendo portare all’esaurimento l’avversario.

Apriamo una parentesi relativamente ovvia. La Russia, che poi non è “Russia” ma una “federazione” in cui la Russia è il centro egemonico e le altre Repubbliche sono delle colonie, da sempre si è dotata di forze terrestri quantitativamente enormi e scadenti per qualità, proprio perché ha sempre avuto una economia da Terzo Mondo e milioni di straccioni sacrificabili. Di conseguenza la aviazione russa non ha lo scopo della superiorità aerea sul territorio avversario ma solo quello di proteggere per quanto possibili le posizioni del proprio schieramento. Cosi come la marina russa non ha mai avuto lo scopo di dominare gli oceani ma solo di attaccare, in maniera più o meno suicida, le formazioni navali delle portaerei americane. Da cui, come si vede, l’aviazione russa non vola sopra l’Ucraina e la marina non è davanti la costa ucraina. Le armi fantascientifiche sono storia antica, tutti gli autocrati “bluffano” millantando le capacità dei propri scienziati e tecnici militari. I Nazisti le avevano veramente, le “wunder waffen” ma erano anti-economiche per le ragioni sopra descritte. Se tu devi costruire un aggeggio costosissimo e il nemico ne contrappone cinque che tutti insieme costano la metà, devi avere molte più risorse per prevalere, altrimenti sarai portato all’esaurimento.

Per queste ragioni la propaganda è paradossale, gioca sull’ignoranza e quindi sui timori irrazionali di un pubblico di scemi.

Economisti di stocazzo

Degli scribi del faraone

Sapevamo che sarebbe finita cosi: effetto Superbonus sul bilancio dello Stato: conto da 220 miliardi, sei volte superiore alle stime.

Due osservazioni, anzi tre. La prima è che l’Italia è indebitata perché questo giretto si ripete di continuo. La seconda è che solo uno scemo o una persona in malafede può pensare che sia una buona idea accollare allo Stato il patrimonio dei privati. Non fa differenza che siano dei lavori sulla casa o lo stipendiuccio garantito e la pensioncina. Qui si apre una parentesi apocalittica sulla tendenza autodistruttiva della “democrazia” che era già nota nella antichità. Ovvero la relazione perversa di dipendenza reciproca tra il “demagogo” e il “popolo”, il primo asseconda i desideri delle persone che rappresenta, incurante delle conseguenze e ottiene in cambio il potere con cui soddisfare i propri desideri, i cittadini non hanno l’intelligenza e la cultura, quindi la morale, per capire che le conseguenze “collettive” finiscono prima o poi per diventare conseguenze “individuali” e quindi piangono e fottono, fottono e piangono. L’Italia repubblicana è stata divisa in due di proposito, volutamente. Al centro-nord la famosa “economia sommersa” cioè produrre reddito in tutte le maniere, legali, semi-legali e illegali, dove quelle illegali sono anche quelle più redditizie, al centro-sud lo “assistenzialismo” per cui lo Stato provvede vitalizi in tutte le forme concepibili, col risultato di Bertoldo, lo statale riceve uno stipendio minimo ma garantito quindi gli si può solo chiedere di fare finta di lavorare. Ultima osservazione: la “economia” non è una “scienza” e gli “economisti” sono dei ciarlatani, fanno previsioni a capocchia che hanno lo stesso valore di quelle degli antichi oracoli, forse meno e si prestano dietro compenso come “esperti – consulenti” dei demagoghi a facilitare il declino e il collasso della “democrazia”. Niente di più ipocrita delle famose “politiche keynesiane”. A monte di questa osservazione ne possiamo fare un’altra, abbastanza ovvia: ne i demagoghi ne gli “esperti”, in questo caso gli economisti, sono chiamati a rispondere dei propri atti. L’argomento in testa a questo scritto è solo uno degli infiniti esempi. Si legge che lo Stato si trova a pagare sei volte la cifra che era stata stimata e finisce li, come se fosse un incidente o un temporale estivo imprevedibile. Se non che tutto, dal bilancio della RAI o dell’INPS, passando per la Sanità o la Scuola e arrivando finalmente al polistirolo appiccicato sulle case, finisce per essere pagato dalla fiscalità generale cioè dalle imposte, siccome non basta mai, dai soldi che lo Stato chiede in prestito a strozzo e quindi nel Debito. Debito che il saccente di turno dirà che non solo è “sostenibile” ma che è necessario ad alimentare l’economia nazionale, infatti anche per il “bonus edilizio” la scusa era finanziare l’edilizia e tramite quella ottenere una sorta di ripresa economica. Gli Americani direbbero “all is good until it isn’t”, cioè va tutto bene fino a che vai a sbattere.

Postilla: sentivo su Radio Radicale, che raccomando a tutti, un dibattito sul “lavoro”, coi soliti relatori che ci aspetteremmo, politici, sindacalisti, imprenditori, eccetera. Ad un certo punto un signore ha fatto il solito giretto retorico citando gli articoli della Costituzione inerenti il “lavoro” e il “reddito”. A volte mi domando se questa gente ci fa o ci è. Una volta che noi postuliamo la dissoluzione degli Stati Nazionali in entità sovra-nazionali come “Stati Uniti d’Europa” o più genericamente nella “Globalizzazione”, non solo dobbiamo considerare le conseguenze meccaniche di mettere in comunicazione contesti del tutto diversi quindi un chilo di mele o un’ora di un operaio hanno costi e modalità del tutti diversi ma stiamo anche postulando che le Costituzioni su cui si fondano gli Stati Nazionali siano subordinate a qualcosa come il “Diritto Internazionale” e che i Poteri dello Stato, quindi Governo, Parlamento e Magistratura, siano a loro volta subordinati ad un “Governo Mondiale”, un “Parlamento Mondiale” e una “Magistratura Mondiale”. Poteri che non hanno alcun motivo di privilegiare un cittadino italiano rispetto ad un cittadino malese o peruviano o un essere umano qualsiasi. Ed eccoci ad un altro degli infiniti imbrogli, quello della “giustizia sociale” per cui si postula la distribuzione della ricchezza però sempre con la logica del piangere e fottere, dimenticando che tutti conoscono il trucco quindi non si vede, ancora, perché un italiano che piange e fotte riesca a fottere un malese o un peruviano che piangono e fottono allo stesso modo. Certo, vedrete che riusciremo ad accollare il nostro polistirolo appiccicato alle case ai Tedeschi, convincendoli a fare “cassa comune” tra il loro bilancio e il nostro.

Cattivi Maestri

O tempora o mores

Questo è un esempio dei post che richiedono l’anonimato.

Leggevo Feltri: non esiste libertà che valga l’atomica .

Premessa: io sono un ragazzo della Guerra Fredda e ho vissuto fino alla maturità sotto la minaccia della Terza Guerra Mondiale. Negli anni seguenti la caduta del Muro ho prestato servizio nell’Esercito italiano quando ancora esisteva la Leva obbligatoria ed erano le vestigia di quando si dava per scontata l’invasione delle divisioni corazzate del Patto di Varsavia. Ogni tanto lo ricordo perché è come se queste cose non fossero mai esistite, fui assegnato ad un reparto di artiglieria di una Brigata Alpina e l’idea era di provare a tenere i passi alpini ma se necessario avremmo dovuto usare proiettili nucleari per evitare che l’invasore dilagasse nella pianura. Avremmo sparato sui nostri commilitoni e chiunque si fosse trovato da quelle parti.

Ora, leggendo Feltri mi domando da quale mondo venga. Come se si fosse svegliato ieri e non avesse memoria di quando ci si aspettava che i ragazzi italiani corressero alla frontiera per fare quello che fanno gli Ucraini ma dando per scontato che sarebbe stato un sacrificio sullo stile delle Termopili. Come se Feltri non sapesse che la dottrina NATO prevedeva che dopo pochi giorni di combattimento le zone di contatto sarebbero state sacrificate trasformandole in un deserto radioattivo per rallentare l’invasore e dare il tempo agli Americani di inviare rinforzi via nave.

Visto che ho citato le Termopili, consideriamo la vicenda. Da quando la nostra “sinistra” ha abbandonato l’ortodossia sovietica per farsi “liberal” i grandi imperi multietnici e multiculturali sono diventati il non plus ultra. Quindi i professori, che sono tutti “di sinistra”, ci raccontano di come questo impero inclusivo e tollerante fosse stato aggredito dalla rivolta degli Joni, coloni greci dell’Asia Minore, sobillati da Atene. Gli Ateniesi e gli Elleni in generale sono “xenofobi”, convinti che solo loro meritano l’appellativo di “uomini” perché non si sottomettono a nessuno, orgogliosi di essere nati ognuno nella sua polis. Gli Joni mettono a ferro e fuoco le città persiane e l’impero reagisce sopprimendo la rivolta nel sangue, poi si rivolge ad Atene. Come tutti sanno, la prima volta la spedizione punitiva sbarca a Maratona. Gli Ateniesi riescono a sconfiggere il corpo di spedizione persiano e già questa è una cosa impensabile.

Pausa, torniamo alla mia infanzia. All’epoca i Comunisti italiani erano dilaniati da una contraddizione. Da una parte erano ben contenti di essere “compagni” dentro l’Egemonia USA che gli consentiva il benessere materiale e la libertà di espressione, dall’altra però per tradizione predicavano la “Rivoluzione” che avrebbe dovuto determinare la “Dittatura del Proletariato”. In questa predicazione bisognava completare la “Resistenza”, che era appunto l’inizio della “Rivoluzione” e l’Armata Rossa sarebbe stata benvenuta come un “liberatore”. Quindi, tornando alle Termopili italiane, oltre la necessità di sacrificarsi sui passi alpini, avevamo la certezza che ci sarebbe stato anche il “fronte interno” perché i nostri Comunisti avrebbero parteggiato per l’invasore. La cosiddetta “Destra” ha sempre avuto una colpa assoluta, quella di farsi definire dagli altri, in particolare dai “compagni”, come se non avesse altra capacità che fare il verso, vivere come immagine riflessa. Quindi, a parte la faccenda delle Termopoli, l’idea era di imitarli con la organizzazione Gladio o “stay behind”, cioè l’idea che se i “compagni” fossero riusciti ad instaurare un regime comunista in Italia, quelli che non sarebbero stati rastrellati ed eliminati avrebbero dovuto fare la stessa cosa a parti invertite, cioè spionaggio e sabotaggio a favorire gli Americani.

Abbiamo visto che con la caduta del Muro i Comunisti sono diventati “liberal” passando attraverso un certo numero di trasformazioni e hanno rimosso tutto il loro passato marxista-leninista e l’ortodossia sovietica. Le organizzazioni militanti della “sinistra extraparlamentare”.

Col solito meccanismo dello specchio, se la “Sinistra” è diventata “americana” la “Destra” non poteva che diventare “sovietica” e rido mentre lo scrivo, data la folle assurdità, la assoluta scemenza della cosa. Quello che nella mia infanzia era il “Paradiso dei Lavoratori” adesso è la mecca di quelli che all’epoca erano i “Fascisti”. La Armata Rossa è ancora un “liberatore”, una volta ci avrebbe liberato dal Capitalismo e adesso ci libererebbe dai “froci” e dai “biolab” coi loro vaccini.

Bene, torniamo ad Atene. Immaginiamoci personaggi come Orsini, Travaglio, Santoro, Oddifreddi nella agorà. Abbiamo provocato l’Impero Persiano e adesso gli Joni sono sterminati e ridotti in schiavitù. Poi l’Impero ci manda un ultimatum, arrendetevi alla vostra giusta punizione o seguirete la sorte degli Joni. Oddio, la guerra. Noi vogliamo la pace. Il Feltri ateniese direbbe che non esiste libertà che vale il taglio della spada. Orsini direbbe che i Persiani hanno già vinto. Tutti direbbero che siamo sconfitti e comunque ce li meritiamo perché siamo “neofascisti”, Azov, “froci” e “vaccini biolab”.

Per qualche strana ragione gli Orsini, Travaglio, Santoro, Oddifreddi e Feltri all’epoca delle Guerre Persiane furono zittiti e gli Ateniesi non solo uscirono dalla città per affrontare i Persiani a Maratona. Accettarono la distruzione di Atene quando fu evidente che gli Elleni non potevano fermare la seconda spedizione punitiva che, attraversati i Dardanelli, calava dal nord. Evacuarono la città via mare, mentre l’Ellade era invasa, l’Attica perduta e si pensava di potere difendere solo il Peloponneso. Poi si disposero ad usare la flotta, il famoso “muro di legno” della profezia raccontata dai posteri, per affrontare l’invasore. La battaglia di Salamina, il contingente terrestre persiano sconfitto a Platea. Atene emerge vittoriosa e si impone la “egemonia ateniese” della Lega di Delo. Finirà male, seguirà la Guerra del Peloponneso.

Comunque, ci si dovrebbe domandare perché nella Storia gli uomini si sono ribellati e hanno preferito la morte alla schiavitù. Si sono ribellati e hanno preferito la morte anche ad un relativamente comodo servaggio.

Oppure, ci si dovrebbe domandare perché capita che Feltri affermi il contrario, cioè che la “libertà” non vale il sacrificio. Perché la “atomica” è una metafora che significa una minaccia qualsiasi, non fa differenza se fai a pezzi la gente in un modo o in un altro. Tanto è vero che lo stesso Feltri, in una sorta di “excusatio non petita”, cita le ragioni economiche. La “libertà” non vale il disagio dell’aumento dei prezzi o della disdetta delle vacanze. Una qualsiasi minaccia deve bastare a farci calare le braghe perché diamo per scontato che gli agi si guadagnino dando via il culo, non c’è altro modo.

Questa è la cosa più ridicola ed assurda. A Feltri e a tutta la combriccola non è richiesto il minimo disagio. La Borsa è ai massimi, l’economia gira nei limiti del dissesto del Bilancio statale e delle conseguenze della “globalizzazione” che ci ha reso periferici come nel Cinquecento.

Quando si parla di “armi”, premesso che spendiamo tipo 1.5% del PIL quando da accordi internazionali dovremmo spendere almeno il 2%, premesso che tra il 70 e lo 80% della spesa va negli stipendi, premesso che prima della crisi ucraina la NATO era stata smantellata in funzione delle “missioni di pace”, perché non si pensava più ad una “guerra convenzionale”, proprio questa è la contraddizione, cioè il fatto che non possiamo armare l’Ucraina perché non abbiamo le armi, abbiamo stipendi e infatti fino ad ora gli abbiamo dato i ferrivecchi ripescati dai depositi dove attendevano la demolizione. Ferrivecchi per i quali non produciamo parti di ricambio e quindi quando si rompono li devono abbandonare e non produciamo munizioni, di cui tra l’altro non abbiamo scorte perché andrebbero rinnovate periodicamente.

Onestamente, non me la prendo con Feltri, cosi come non me la prendo con Orsini, Travaglio, eccetera. Mi pare ovvio che non è tanto che loro siano onestamente convinti delle cose assurde che propalano ma che esiste un pubblico di scemi, ignoranti e pazzi a cui si può vendere lo sciroppo miracoloso. E’ un mercato. Domanda e offerta. Diventa palese se pensiamo che è una “linea editoriale” quella di pubblicare le tesi di questo o di quello. La “linea editoriale” deve pagare, in termini di interesse della “lobby” o in termini di vendite.

Chiudo con una conclusione ovvia. Io mi vergogno di essere concittadino di Feltri. Non mi interessa se è convinto di quello che dice o se lo fa per mestiere, mi vergogno che lui parli e mi vergogno che lo facciano parlare.

Circa il resto della popolazione, il fatto che ci siano milioni di “novax” che guarda caso siano anche convinti che “Putin è nel giusto”, inevitabile conseguenza della diseducazione che ha storpiato generazioni ad ondate, prima quando ci facevano marciare in cortile cantando “Bandiera Rossa” e poi quando hanno cominciato col “cittadino del mondo”. Il vuoto deve essere riempito da qualcosa e gli scemi, gli ignoranti e i pazzi lo riempono con le prime scempiaggini che gli capita di sentire ripetere in giro. Generazioni diseducate in modo che non abbiano memoria e consapevolezza di se stesse, gente che pensa alla vita come il “sushi” e la “maria” e i “viaggi”. Siamo destinati all’estinzione, perché mentre ci impongono milioni di immigrati e nello stesso tempo non facciamo più figli, siamo anche privi di morale e tutti intenti al godimento narcisistico, per cui ci caghiamo addosso appena un troglodita sdentato ci fa “buh”.

Incognito Mode di Chrome

Della gente tenuta nell’ignoranza di proposito per approfittarne

Andiamo al punto. Il browser è un aggeggio vecchio come Internet. La funzione “incognito” o “finestra anonima” esiste da sempre e funziona al contrario di come pensa la gente. Non ha alcun effetto sullo “anonimato” rispetto alle cose che si fanno mentre si è collegati ad Internet, invece serve a non conservare tracce delle cose fatte nella “memoria” del dispositivo utilizzato, in pratica non salva la “history” o “cronologia” perché usa la RAM che è “volatile” invece della memoria permanente.

Lo “anonimato” dipende da varie cose. Per primo il fatto che quando ci si collega ad Internet il fornitore del servizio ci assegna un indirizzo IP preso da un “pool”, cioè un gruppo di indirizzi che il fornitore ha comprato all’ingrosso. Di norma è sempre diverso ma il fornitore tiene traccia del giorno e dell’ora in cui ha assegnato quell’indirizzo al dato cliente, quindi sa sempre chi usava quell’indirizzo il tale giorno alla tale ora.

In seconda battuta qualsiasi software che adoperiamo può comunicare a terzi qualsiasi informazione, con o senza il nostro consenso. Il software si compone di vari livelli soprapposti, per esempio un dispositivo avrà il “firmware” distribuito dal venditore dell’hardware, poi avrà il “sistema operativo”, per esempio Windows, distribuito dalla azienda Microsoft, poi avrà un insieme eterogeneo di programmi (o “app”), distribuito da questo e quello. Le informazioni sul nostro conto che vengono carpite e comunicate a terzi dipendono dai “contratti” che sottoscriviamo con queste entità, quando la cosa è gestita apertamente e in modo “legale”, oppure sono una specie inganno.

Chrome è il browser di Google. Google è una azienda che raccoglie dati sugli utenti dei suoi servizi e li rivende ai propri inserzionisti in modo che questi possano realizzare campagne promozionali “mirate”. Se usiamo un qualsiasi prodotto o servizio che fa capo a Google sappiamo in partenza che questo prodotto o servizio esiste per raccogliere dati sul nostro conto e per sottoporci campagne promozionali “mirate”. L’inganno non è certo nell’ambiguità di una funzione “anonima” che non ha niente di anonimo, piuttosto è nel fatto che Google non dice “qualsiasi cosa tu faccia con un nostro prodotto o servizio verrà registrata e di conseguenza sarai sottoposto a campagne promozionali mirate”.

Domande?

Recensione dello scooter Honda SH 150

Della Mobilità in ambito urbano

La faccio breve. Se vi interessa il prezzo, io l’ho pagato senza sconti o incentivi 3.8 mila euro che diventano 4.2 con immatricolazione eccetera. Vale la pena? Dipende cosa volete, uno scooter di categoria superiore costa circa 6 mila euro e a me basta girare in città e occasionalmente fare un tratto in autostrada. E’ uno scooter molto maneggevole nel traffico, relativamente leggero e di dimensioni contenute, quindi facile da mettere sul cavalletto centrale e spostare. Con un pieno si dovrebbero fare circa 400Km.

Motore, 8. Consumo medio 45.5Km/litro. Ciclistica e Ammortizzatori, 7. Al posteriore un po’ secchi. Dotazioni, 7, “Start&Stop”, Controllo di Trazione, c’è anche l’antifurto. L’inconveniente è che bisogna sempre tenere d’occhio la batteria perché se manca la carica non funziona più niente, incluse le serrature, che sono “elettroniche”.

Dolenti note: Ergonomia, 6.

Sella troppo alta, per una persona di media statura è difficile poggiare bene i piedi a terra. Bisogna spostarsi sul sedile. La sella troppo alta fa il paio con il manubrio troppo basso che induce a guidare un po’ curvi in avanti. Per leggere la strumentazione bisogna spostare lo sguardo come per guardare in terra. Se non c’è qualche passaggio che non ho capito, direi che non è uno scooter per persone di statura inferiore a 1.70.

Il parabrezza svolge ottimamente la sua funzione, protegge ma è fatto di un materiale troppo morbido che si riga solo a guardarlo. Il minimo contatto, frequente con la visiera alzata del casco perché il parabrezza è molto vicino alla testa, si riga in maniera irrimediabile. Non provate a togliere i segni con la pasta abrasiva, si ottiene solo di opacizzarlo. Ad aggiungere beffa ad insulto, Honda non vende il ricambio del solo parabrezza ma l’intero “kit” che include la lastra, i due sostegni in metallo, la viteria e i due paramani. Totale con IVA, 175 euro al concessionario.

Ho provato a contattare Honda tramite il sito e il form non funziona. Si aspetterà una configurazione utente diversa dalla mia e l’eccezione non è correttamente gestita. Vorrei dirgli di vendere i parabrezza separatamente e ad un prezzo ragionevole perché quando sono compromessi è meglio sostituirli e il “kit” induce o a non cambiare per risparmiare o a montare parti non originali, dette “aftermarket”. Vorrei anche dirgli che il parabrezza è soggetto ad usura e quindi bisogna farlo di un materiale resistente ai graffi.

Dritta: quando fate rifornimento spingete l’erogatore in fondo all’interno dell’incavo. C’è una specie di valvola per il “troppo pieno” che fa scattare la chiusura dell’erogatore ed evita la tracimazione della benzina. Tracimazione che invece avviene di sicuro se appoggiate soltanto l’erogatore all’imboccatura senza affondarlo. Come ho fatto io la prima volta, dato che lo scooter precedente aveva un blocco che serviva proprio per non fare andare dentro l’erogatore, il contrario.

Chiudo con due considerazioni:

Se tutti andassero in moto il mondo sarebbe un posto migliore.

Produzione eccessiva di norme e regolamenti, incluso il Codice della Strada. Mentre le strade sono in condizioni tragiche, piene di buche, allagate se piove, voragini dove ci sono le rotaie del tram. Si arriva dunque al ridicolo fenomeno dei “monopattini”. Prima li si incentiva col “bonus”, sapendo poi che i Nuovi Italiani tendono a usare mezzi di trasporto per cui non serve la patente. Poi si scopre che sono pericolosi e quindi si comincia la repressione con l’obbligo del casco, targa e assicurazione. Quando i problemi sono due, l’ignoranza di chi guida e magari va sul marciapiedi o in autostrada e il fatto che il “monopattino” è un giocattolo intrinsecamente pericoloso perché le ruote sono troppo piccole e il guidatore non si trova in una posizione solida, il minimo inciampo e si va in terra. Evidentemente il “legislatore”, a tutti i livelli, dal Parlamento al Consiglio Comunale, non sa niente delle “due ruote” e quindi pensa che il “monopattino” sia una soluzione al problema della mobilità invece di un giocattolo pericoloso come un fucile ad aria compressa. Se avesse un minimo di esperienza saprebbe che è già improponibile circolare in bicicletta, che è una macchina enormemente più sicura del “monopattino”. Improponibile perché la gente è stata convinta che non può vivere senza automobile e il traffico di conseguenza è parossistico. Traffico su strade concepite altre epoche, quando l’automobile era per i ricchi e tutti gli altri andavano in bicicletta. Beffa e paradosso.

Patriarcato e Femminicidio

Dei neologismi antiumanisti

Tutta la faccenda che viene strombazzata dai “media” notte e giorno circa il terrificante Patriarcato che istruisce i maschi ad uccidere le femmine è una emerita cavolata.

Una di quelle cavolate messe a punto nei laboratori della Massoneria Apolide al fine di demolire la cosiddetta “Civiltà Occidentale” per addivenire allo “Uomo Unico” che nelle parole di Scalfari avrà “ricchezza media, cultura media, sangue integrato”. Notare il trucchetto retorico-demagogico di Scalfari nell’evitare di definire il concetto di “media”, ovvero media tra quali valori. Cosa che non è tanto importante sul fattore della “ricchezza” quanto su quello della “cultura”.

Quello che succede nella realtà delle cose e lo dico per esperienza personale, è che nelle famiglie italiane si nasconde un numero incredibile di mostri.

Questi mostri sono nascosti nella loro natura da parte dei familiari per un senso arcaico di vergogna, secondo l’antica idea del “segnato da Dio, maledetto da Dio”, cioè che una persona storpia sia anche colpevole, maligna. La famiglia poi preferisce dissimulare, negare, piuttosto che prendere atto del problema ed affrontarlo, perché ognuno dovrebbe poi guardare le proprie piaghe a ritroso.

I mostri sono insieme ignorati e scansati da tutti, perché averci a che fare rende la vita impossibile. Ignorando la loro esistenza e tenendo le distanze il più possibile, si evita l’incomodo di dovere fare qualcosa, dovere prendere una posizione.

Arriviamo alla questione principale.

I mostri non vengono cercati, riconosciuti o curati da alcun Servizio Pubblico.

Le “Forze dell’Ordine” non intervengono se non dopo che è stato compiuto un reato, anche se sono perfettamente a conoscenza della situazione di rischio. Non intervengono a prevenire le stragi compiute da fanatici tagliagola pregiudicati che le annunciano urbi et orbi, figurarsi se si muovono per un mostro “comune” che è solo un assassino potenziale come migliaia di altri. Il Sistema Sanitario è una barzelletta in generale, non cura la gente che arriva in ospedale con un infarto o con una leucemia, figurarsi se può curare disturbi della personalità o malattie psichiatriche. Il Medico di Base serve solo a compilare “impegnative” per improbabili visite specialistiche che lo “assistito” richiede e per prescrivere medicine quindi ancora, figurarsi se si muove per il mostro.

Quindi, se la Massoneria muove le sue pedine per condizionare la “Pubblica Opinione”, il “femminicidio” è un concetto assurdo perché vorrebbe essere una categoria peggiorativa dell’omicidio, come se le “femmine” fossero qualcosa di più di un “essere umano”, il problema è che convivere coi mostri è semplicemente la “normalità”, cioè la regola.

Se conviviamo coi mostri e per qualche ragione speculare le donne non li riconoscono o, peggio, li trovano interessanti, è “normale” che le donne prendano mostri come fidanzati e mariti e poi vengano macinate.

A parte la faccenda a cui ho accennato, cioè che le donne non riconoscono i mostri o li trovano interessanti, dato di fatto evidente, se vogliamo definire una “colpa” questa non è nel “Patriarcato” quanto nel fatto che come Società non vogliamo riconoscere l’esistenza dei mostri e non vogliamo prendercene cura. E’ come non volere riconoscere l’esistenza dei portatori del virus “Dengue” perché questi sono immigrati da Asia e Africa e per definizione non si può associare un connotato negativo agli immigrati. Meglio dire che il virus viene portato dalle zanzare e omettere che le zanzare fanno solo tra tramite.

La cosa tragicomica è che tutta la manfrina sul “Patriarcato” e tutte le “riforme”, che poi si traducono solo in pseudo-leggi che vorrebbero comminare pene più severe, non cambiando assolutamente nulla rispetto alla verità dei mostri nelle famiglie italiane, non cambieranno assolutamente nulla rispetto alle conseguenze. E’ come la faccenda delle stragi negli USA, chiaro che il mostro armato fino ai denti può ammazzare più gente ma il mostro senza armi prende uno strumento qualsiasi, un martello, un coltello da cucina e ammazza due o tre persone e ne ferisce cinque o sei. Nel nostro caso, dove la violenza non avviene in un contesto di massa ma tra la cerchia ristretta dei familiari e amici, il mostro, che non viene cercato, riconosciuto e curato, è inarrestabile, è una bomba che può esplodere in ogni istante.

La cosa che io trovo insopportabile è che tutti sanno ma quando poi si arriva alla tragedia, tutti fanno finta di essere sorpresi, “sembrava tanto una brava persona”.

Linux

Del fare le cose in maniera differente.

Sono sempre stato incuriosito da Linux. Sarebbe inutile scrivere l’ennesimo articolo sulla sua genesi e natura, vi rimando a Wikipedia.

https://it.wikipedia.org/wiki/Linux

Per molti anni ho usato i computer con Windows e non avevo motivazioni sufficienti per investire tempo ed energia su qualcosa di differente. Ogni tanto davo una occhiata, facevo qualche prova ma poi lasciavo perdere. Allo stesso tempo non avevo ragione di aggiornare Windows 7 passando ad una versione successiva. Ad un certo punto però Microsoft interruppe il supporto per Windows 7 e questo significava necessariamente che anche le future versioni di tutti i programmi per Windows non avrebbero funzionato con Windows 7.

A quel punto dovevo scegliere se passare ad una versione di Windows successiva, cosa che mi avrebbe obbligato anche a cambiare i computer oppure fare finalmente il salto e passare a Linux.

La prima cosa che feci fu di comprare un “laptop” Dell economico con sopra Linux preinstallato, precisamente una versione già obsoleta di Ubuntu, che ho sostituito immediatamente con l’ultima versione di Xubuntu. All’epoca scelsi Xubuntu perché il desktop è gestito da XFCE, cioè un insieme di aggeggi che tutto sommato è facilissimo configurare in modo da mettere a proprio agio un utente che viene da Windows. Scelsi di proposito un PC con Linux preinstallato per essere sicuro che tutti i componenti fossero supportati.

Come dicevo, non ero del tutto digiuno della materia, negli anni con le mie prove a tempo perso avevo accumulato una discreta esperienza, per cui potevo partire già abbastanza spedito.

Per un po’ ho mantenuto un computer “desktop” con Windows 7 di riserva mentre usavo il “laptop” con Xubuntu Linux. Poi ho finalmente eliminato Windows.

La cosa fondamentale che una persona deve avere ben presente è che la scelta dello strumento dipende dall’uso che se ne vuole fare. Chi ha delle necessità specifiche, soprattutto in ambito professionale, per esempio deve necessariamente adoperare un certo software per Windows oppure un certo dispositivo che funziona solo con Windows, lo stesso vale per i prodotti Apple, non potrà usare Linux. Perché, anche se si riuscisse in qualche maniera ad assolvere le stesse funzioni, ci sarebbe comunque qualche inconveniente che renderebbe la scelta di Linux poco pratica.

Viceversa, ci sono casi particolari in cui conviene usare un certo software per Linux o un certo dispositivo che funziona meglio con Linux e la scelta di Windows sarebbe decisamente controproducente.

Poi c’è la “zona grigia” in cui Windows e Linux si possono sovrapporre, ognuno coi suoi pro e contro ma con un risultato sostanzialmente analogo.

L’errore è aspettarsi di fare le stesse cose nello stesso modo. E’ vero che gira e rigira con abbastanza esperienza è tutto la stessa minestra ma ci sono delle differenze filosofiche di base che bisogna capire e fare proprie.

Per farla breve, usando Windows ci si deve adeguare alle decisioni prese da altri, da Microsoft, dalle aziende collegate a Microsoft a vario titolo. Perché esistono determinati “prodotti” e “servizi”, nel bene e nel male quelli sono e l’utente paga per poi usarli con le modalità predefinite.

Con Linux, è vero che ci sono grandi aziende che contribuiscono con grandi investimenti ma non c’è una entità unica che controlla, coordina, decide, impone. Linux è un aggregato di software eterogeneo e disparato. Se da una parte questo può essere un problema perché le diverse parti vanno avanti ognuna per conto suo, dall’altra se non esiste un “prodotto” unico nessuno è obbligato ad usarlo o ad usarlo in un determinato modo. Entro certi limiti, ognuno può farsi un proprio “Linux” aggregando le cose che gli servono ed eventualmente aggiungendo software nuovo o modificando software esistente.

Un giorno vado ad installare una nuova versione di Xubuntu. Errore, va in crash l’aggeggio che serve per gestire la stampante. A questo punto potrei provare a risolvere l’errore ma è una cosa noiosa che di solito non ha successo. Potrei tornare alla versione precedente di Xubuntu e continuare ad usarla almeno fino a che non termina il supporto, potenzialmente anche oltre. Potrei cambiare la stampante. Oppure, posso cambiare distribuzione Linux.

Esistono varie organizzazioni che si occupano di selezionare il software eterogeneo in modo da pubblicare un insieme di sistema operativo, driver e programmi installabile su un computer, con diversi livelli di completezza e sofisticazione. Questo meccanismo si chiama “distribuzione” e le distribuzioni si dividono in “famiglie” o “alberi genealogici”, perché da una distribuzione “madre” derivano poi delle distribuzioni “figlie”.

Xubuntu è una “derivata” di Ubuntu che a sua volta è una “derivata” di Debian. Non avrebbe molto senso provare ad aggirare l’errore lamentato da Xubuntu con una distribuzione della stessa “famiglia”, quindi provo con la “madre” di una famiglia del tutto diversa, Fedora.

Problema risolto, una piccolezza, la stampante funziona. Fedora volendo ha uno “spin” analogo a Xubuntu, cioè basato su XFCE ma mi suggerisce di usare piuttosto Gnome, che ha una metafora del tutto diversa da quella del “desktop” tradizionale, assomiglia di più ad una interfaccia “touch screen”. L’avevo già provato Gnome e non mi aveva convinto ma adesso decido di mettermi d’impegno. Scopro cosi che Fedora fondamentalmente è la migliore distribuzione Linux disponibile, ovviamente sempre al netto di esigenze particolari. E’ tutto in due caratteristiche, primo la cura nei dettagli, la qualità generale che si percepisce, secondo nel fatto che Fedora si impegna non solo a fornire software il più aggiornato possibile ma anche a sperimentare ed introdurre per prima nuove tecnologie nell’ambito di Linux.

Dopo avere usato Fedora per un paio d’anni mi accorgo sia di quanto siano meno “rifinite” le altre distribuzioni che di quanto altri “desktop” siano inutilmente arcaici. Inutilmente perché non hanno le risorse per sviluppare ulteriormente il software che piano piano invecchia e muore.

Quindi, concludendo, se qualcuno è determinato a liberarsi di Windows e gli devo raccomandare una distribuzione Linux, senz’altro gli dico di cominciare da Fedora – Gnome.

In alternativa, potrebbe provare lo “spin” Fedora – KDE, dove KDE Plasma è un progetto competitivo tecnologicamente con Gnome e mantiene la metafora del “desktop classico”.

Le altre opzioni si prestano ad esigenze particolari oppure semplicemente sono retrograde, qualitativamente amatoriali, divertenti forse ma alla fine tempo perso.

Certo, a noi che usiamo Linux piace perdere tempo, infatti pratichiamo tutti, chi più chi meno, lo sport del “distro hopping”, cioè saltare da una distribuzione all’altra solo per vedere come va, cosa succede se mettiamo le dita nella presa della corrente, se andiamo con la bici su una ruota sola, cose cosi. Smontare le cose e rimontarle, cadere e rialzarsi, è il modo per imparare e ci si diverte anche.

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